Perché l’IA sembra umana (e noi sembriamo robot)

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Viviamo in un’epoca paradossale: più l’intelligenza artificiale avanza, più noi sembriamo retrocedere verso un comportamento automatizzato.
Come se lo scambio di ruoli fosse già iniziato — noi diventiamo prevedibili, l’IA diventa sorprendentemente “umana”.

È una provocazione, certo, ma nemmeno troppo.

NPC nella vita reale

Nel mio caso, quando cammino per strada con la gattina, noto come le persone mi pongano sempre le stesse frasi preconfezionate:

Frasi standard, ripetute da persone diverse come se leggessero dallo stesso copione.

Questo fenomeno richiama il concetto di NPC (Non-Player Character), termine originario dei videogiochi: in gergo moderno e videoludico indica un personaggio non giocante, cioè una figura che esiste solo per l’esperienza del protagonista, che reagisce sempre in modo predeterminato, senza vera autonomia.
Nel mondo reale, quando le persone diventano prevedibili e stereotipate, sembrano proprio NPC: ci sono, interagiscono, ma non mostrano autenticità.

Il cortocircuito: perché l’IA sembra sempre più “umana”

C’è un aspetto interessante: l’IA sembra umana proprio perché noi ci comportiamo sempre più come una statistica vivente.
L’IA non fa altro che generare la prossima parola più probabile. Eppure… quante delle nostre conversazioni quotidiane sono diverse da questo?

Siamo circondati da script sociali, automatismi, frasi ad alta frequenza.
Le persone fanno prompting sociale senza accorgersene:

In una cultura che appiattisce la spontaneità, l’IA, che di suo è un’enorme macchina probabilistica, sembra quasi più viva di noi.

L’originalità è diventata un atto di resistenza culturale.

Quando la normalità diventa automatismo

Per sopravvivere al ritmo moderno, molti comportamenti sono stati ottimizzati.
Ma l’ottimizzazione, quando è totale, diventa spersonalizzazione.

La vita si struttura così:

E più ci muoviamo dentro schemi, più somigliamo a ciò che critichiamo.

Se fossimo più noi stessi…

…l’IA apparirebbe immediatamente per quella che è:
una sofisticata imitazione, non una persona.

La percezione che “l’IA è umana” è un effetto collaterale della nostra crescente omologazione.
Se tirassimo fuori la nostra voce, la nostra spontaneità, la nostra storia personale, la differenza sarebbe abissale.
Nessuna IA potrà mai imitare davvero:

L’IA può solo simulare. Noi possiamo essere.

Riscoprire l’imprevisto

Riassumendo: l’IA non è diventata più umana — siamo noi che rischiamo di diventare delle sue proiezioni.

È tempo di ricominciare a stupire:

La vera differenza tra noi e una macchina è che noi possiamo scegliere di rompere lo schema.

E forse è proprio questo il gesto più umano che ci resta.